martedì 10 febbraio 2015

Ciao Vietnam

Oggi sono arrivati i documenti di Lucia: passaporto e visti di ingresso in Italia, possiamo tornare.  Il volo di ritorno è per domani, partenza 16.45 ora di Hanoi.
In questi giorni la nostra bimba è cambiata molto. E anch’io ho fatto un grande passo verso di lei. Le occorreva tempo e ancora forse ne ha bisogno, ma la Lucia di alcuni giorni fa, sembra non esistere più, piano piano è stata lei a cercarmi, in modo buffo, un po’ guardinga ma alla fine si
è lasciata andare…e io pure.
Tutto questo ci incoraggia nell’affrontare il viaggio di ritorno, magari riusciamo ad alternarci io e Cri, anche se temo qualche strillo di troppo a bordo…pazienza per i passeggeri, io voglio tornare a casa.
Giada ha tirato fuori gelosia e bisogno di attenzioni, lo esprime come sa fare lei, con quella dolcezza disarmante girando un po’ intorno alle questioni, come se avesse paura di ferirci.  Allora cerchiamo con il gioco e con lo scherzo di far emergere i sentimenti. Al mio capolavoro numero uno lo dico sempre che senza di lei noi non saremo qui, e spero in cuor mio di aver fatto la cosa giusta per lei, lei che ha sempre desiderato una sorellina, lei che ha atteso insieme a noi in silenzio, lei che è cresciuta in questa attesa, perché come dicevo a Cri, lei non chiede ma ha sempre compreso  tutto, lei  sentiva che i tempi si erano allungati, lei percepiva il nostri punti di crollo e quando eravamo sul punto di mollare o ci ponevamo ultimatum, se ne usciva con messaggi belli diretti, come a dire, non provateci nemmeno, dobbiamo arrivare al quattro, come ci disse la psicologa ad Urbino, “voi potete anche porvi dei limiti temporali per questo secondo percorso ma ricordatevi che lei vuole un fratellino e/o una sorellina, per cui ascoltate anche quello che vuole lei, non solo quello che per voi è giusto”, un bello schiaffo direi.
Parlo di Giada, perché Lucia è ancora quel piccolo terremoto semisconosciuto che ronza per camera parlottando nella sua lingua, e vi assicuro che è sorprendente quanto comprenda già molto di quello che le diciamo, per quanto semplice e legato alla sfera dell’essenziale. Mi guarda un po’ di traverso e va in allarme se alzo la voce, ma poi è capace di sciogliersi in un sorriso da strapazzare di baci, sempre che non batta in ritirata prima. Il lungo percorso per conoscerci è appena cominciato, ma in fondo sta procedendo  tutto per il meglio.
E così sta per chiudersi anche questo secondo viaggio. Una seconda esperienza molto intensa, sicuramente diversa e  e  un po’ più difficile rispetto alla prima, Ma ora siamo in quattro, un numero che mi lascia ancora stupito nel pronunciarlo. Quattro. Un numero sognato e ora reale, una speranza e ora una certezza.
Non c’è stata l’ incoscienza del primo viaggio, ci sono state le emozioni, molto intense ma anche più mature. E’ stata in fondo una robusta lezione di vita, perché comunque ha mostrato anche il lato difficile dell’ incontro,  che con Giada non avevamo vissuto, ma ce la si fa, occorre pazienza, nervi saldi e tanto reciproco supporto.
Allora ciao Vietnam, arrivederci al tuo frastuono, alle tue contraddizioni, al sorriso della tua gente, sempre in movimento e che non sembra mai avere pace,  alla meraviglia dei tuoi costumi, della tua cultura, dei tuoi luoghi visti troppo di sfuggita; al tuo sole velato che questa volta ha occhieggiato dalla  cappa che sovrasta in questa stagione la città di Hanoi, donandoci una domenica dai tenui colori di un settembre italiano: arrivederci al tuo rincorrere l’Occidente, augurandoti di lasciare un posto per quello che l’Occidente non potrà mai copiare da te o solo lontanamente sperare di possedere.
Ti dirò grazie, perché se non ci fosse il Vietnam forse oggi non avrei una famiglia, perché un volto ti può cambiare la vita, e quel volto aveva gli occhi limpidi di un bimbo appena giunto in Italia da questo straordinario paese, e quel giorno ho detto, da lì nascerà la mia famiglia
Non smetteremo mai di dirti grazie, per Giada Nghiem e Lucia Nguyet,  le due stelle che brillano nel nostro cielo:  a te il dono delle radici da ricordare, a noi la gioia di mettere loro le ali, giorno dopo giorno.  
Noi torniamo a casa.
Grazie Vietnam.
 
 



Ore 11.30 di Martedì 10 Febbraio 2015. Camera 307 Army Hotel. Hanoi. Vietnam.

domenica 8 febbraio 2015

La potenza di un sorriso


Lucia  si sta ritagliando il suo spazio nella nostra famiglia, o meglio si sta avvicinando a piccoli passi a noi e noi a lei,  c’è chi è più avanti, c’è chi è terribilmente indietro e c’è da lavorare.

C’è un forte problema di linguaggio, Lucia  parlotta nella  sua lingua, soprattutto quando appare più rilassata, durante il gioco o il disegno, o quando siamo a passeggio, ma a volte, soprattutto quando siamo in camera,  scoppia a piangere,  e sembra senza apparente motivo, ma probabilmente il motivo c’è eccome: perché non mi capiscono? dove sono i miei riferimenti?  chi sono questi qua?  Piango almeno capiscono che qualcosa non va! Il disorientamento è ancora la causa di un certa difficoltà nel “carburare” dopo il risveglio. Come se ad ogni risveglio realizzasse che non è un sogno quello che le sta accadendo.
A proposito di linguaggio, l’app traduttore dello  smartphone è preziosa, alcune paroline siamo riuscite ad intercettarle: “Mano”, “Prendi”,  e naturalmente “Nguyet” il suo nome vietnamita,  questa cosa l’ha avvicinata di più negli ultimi giorni, come se avesse capito che anche noi facciamo di tutto per comprenderla  cercando di avvicinarci a lei. La difficoltà è dare un contesto ai piccoli discorsi, Lucia parla piano piano, a volte non dice niente per ore, e poi quasi sussurra, le paroline le dobbiamo cogliere e poi con un po’ di fantasia si va a tentativi,  proviamo…e ogni tanto facciamo bingo.

Lucia si è rapidamente affidata a Cri e grazie al cielo dico io, la  vorrebbe sempre per se, la segue, la controlla, ne è gelosa,  se si sente minimamente trascurata mette il muso e piange, e scaccia  gli “intrusi”, è  bella  permalosa,  e anche testarda (come del resto quasi tutti i bimbi viet) per cui adesso in casa siamo in 3, Gigi, Giada e Lucia, siamo a posto.

Con  Giada va meglio, il primo impatto, affatto facile, sembra superato; adesso Lucia la cerca di più, tende ad interagire,  la “scansa” o evita di meno, non si estranea  se la bacia, le propone di assaggiare ciò che mangia, anche se siamo ancora lontani dalla sorella  minore ombra della maggiore. Inizialmente Lucia l’ha trattata decisamente come un’intrusa, una presenza concorrente che le sottraeva Cri, e non lo dava neanche tanto a nascondere, compresi pianti e qualche gesto di aggressività. Questa cosa ha avuto un impatto iniziale molto negativo su Giada, si è sentita non accettata, frustrata dal rifiuto della sorella di entrare in contatto con lei,  tutto si sarebbe aspettata, pianti, sottrazione dei giochi, vivacità molesta, ma non di essere respinta. A questo si è sommata una naturale gelosia, collegata alle inevitabili attenzioni rivolte alla sorellina.  Lo sguardo di Giada non mente, e abbiamo passato le prime giornate profondamente turbati, angosciati dentro, cercando in tutti i modi di rassicurarla,  coccolarla,  non abbiamo finto che  tutto sarebbe stato come  prima, perché tutto è completamente cambiato e l’equilibrio è da ricostruire. E il groppo è venuto fuori, ha pianto dicendo che non si sentiva bene, mal di pancia, ho ignorato la scusa dicendo che forse era fame, ho ignorato  la stretta al cuore, e sono passato subito al sodo, cercando di farle raccontare ciò che prova, abbiamo parlato di Lucia, del perché si comportava in quel modo, e ancora una volta ha voluto il confronto con “il suo incontro”, che sembra anni luce lontano da quello che stiamo vivendo in questi giorni. Le ho cercato di spiegare di dare tempo a Lucia, che poi sarebbe piano piano arrivata lei a cercarla,  di continuare a essere solare e  spensierata, disponibile a giocare con lei, a starle vicino, e comunque sempre se lo  desiderava.
E da alcuni giorni le ronza più attorno, con quei piccoli gesti di affetto che scaldano il cuore, non ultimo questa sera la piccola ha voluto aiutare la grande a vestirsi dopo il bagno, Giada: “Papà mi ha messo un calzino”, che dolcezza.





E poi arrivo io….arrivo? Non mi sembra neanche di essere partito. Lucia ha timore di me, se entro in stanza, perché   la sento che sta giocando con Giada o sta ridendo con Cri,  si incupisce, riassume uno sguardo assente, ha paura, indietreggia se mi avvicino, e spesso piange.
Lucia da strapazzare di baci,  e invece se la predo in braccio, perché poi stranamente si lascia fare, anche se borbotta o si lagna,  lo fa passivamente e rassegnata,  sembra di abbracciare un pezzo di legno, rimane a braccia spalancate, distante, ride, ma ride per l’altezza, per un “vola vola”, ride perché le piace stare in braccio,  perché magari faccio il pagliaccio, ma poi in un attimo ridiventa seria, a volte mi sembra di  essere un cavallo da soma, la sensazione è di stare trasportando un sacco.
E’  frustrante e cerco di capire,  in fondo quante figure maschili di riferimento avrà mai conosciuto nella sua breve vita, o forse il motivo è lo stesso che inizialmente le ha fatto tenere alla larga Giada, la competizione, vuole l’esclusiva su Cri, oppure sono troppo brusco nei modi, insomma sto cercando di capire, devo trovare la breccia.   
E' un bel momento impegnativo, qualche volta non è semplice, è un'altalena costante tra piccola conquiste e dietrofront clamorosi,  e poi capita che dopo un momento in cui ci sentiamo un po’ così, assistiamo a questo....






e basta la potenza di un sorriso per una nuova carica.



mercoledì 4 febbraio 2015

L’incontro con Lucia


Mentre in questi giorni stiamo cercando di assestare la vita familiare, per quanto sia difficile pensare di raggiungere un equilibrio in una stanza di albergo a migliaia di km da casa, ecco il racconto del secondo incontro più importante della nostra vita: il giorno di Lucia.

Ci alziamo presto con in faccia  una notte quasi insonne, Giada ha riposato e anche se so che in altri casi farebbe sul serio, in quanto ama molto dormire, al teatrino del sonno questa volta non crede nessuno, è emozionata anche lei, fin troppo.
Facciamo un’abbondante colazione, all’ Army Hotel  (abbondante è un complimento), e poi in fretta andiamo a comprare alcune ultime cose per l’incontro con Lucia.
Comica spesa!
Gigi: “Cri ma questa non è la strada per il supermarket!!”
Cri:  “A no? Dove stiamo andando?”
Gigi: ”Mi devo essere confuso, e tu non dici niente?”
Cri: ”No io seguo te”
Gigi: ”Non ci sto con la testa”
Cri: ”Nemmeno io ero soprappensiero”
Gigi: ”A beh siamo pure carini,  praticamente stavamo vagando senza meta…”
Completamente fuori strada ritorniamo indietro e imbocchiamo quella giusta.
Ma ad Hanoi è  Lunedì mattina,  e come ogni altro giorno lavorativo sembra il finimondo, come se tutte le motociclette si dessero appuntamento alle 6.00 della mattina e al tre decidessero di scatenare l’inferno.
Fatto sta che le strade che impari a conoscere durante il week end passeggiando nella zona centrale, il Lunedì non le riconosci più, perché sono “incrostate” di motorini parcheggiati ovunque, che ostruiscono i marciapiedi, persino le entrate dei negozi, e dove non ci sono i motorini ci sono banchetti di vendita di ogni tipo,  e dove non ci sono banchetti, ci sono assembramenti di persone che mangiano e/o lavorano e/o non lo sai neppure tu e tutto questo confonde.
Fatto sta che non riconosciamo l’entrata del supermercato, essendo rientrante rispetto al marciapiede.
Cri: “Luigi, ma non siamo troppo avanti?”
Gigi: ”Ho questa strana impressione anch’io, e mi sto preoccupando perché mi sembra di essere ubriaco”
Ritorniamo indietro, troviamo il supermercato, ogni tanto controllo di non aver smarrito Giada, sia mai con sta tensione, e poi testa bassa verso l’Hotel, che alle 12.00 Bobo, il referente, ci aspetta.
Ci prepariamo in silenzio, Giada “buffoneggia” ma è ben evidente quanto sia emozionata per l’incontro.
Questa volta siamo solo noi, non ci sono altre coppie, per cui in mancanza della medicina “famose du chiacchiere” con i compagni di avventura, decidiamo di attendere nella Hall dell’albergo facendoci una partita ad “UNO”, cioè facendoci stracciare da quella fortunella e un po’ imbrogliona che è Giada.
Arriva Bobo, liberiamo la bisca, carichiamo doni per bimbi, didi e autorità e partiamo.
La casa dei bimbi di Lucia è all’estrema periferia di Hanoi (piccola ridente città di 6 milioni di abitanti) e essendo ora di punta, il leggero e scorrevole traffico ci conduce alla meta in 45 minuti.
Il tragitto è tranquillo, a parte il traffico le arterie principali sono tenute abbastanza bene anche se si è in periferia,  per cui poco shaker questa volta, l’unico vero rimbombo è il cuore che pompa nelle orecchie.
Bobo ci segnala un cartello, dopo questo ad un chilometro siamo arrivati.
Stradina in mezzo alla campagna, curva sulla destra, ecco l’istituto. Hanoi I. E’ umile ma ordinato. Ci riceve una ragazza, ci conduce nella stanza di ricevimento, dove ci fanno accomodare in attesa dell’arrivo del direttore. Ci servono un “Tè” di benvenuto, io lo assaggio, tanto non sento sapori, e poi sarebbe scortese; stessa cosa fa Cri, due sorsetti pudici e un ghigno beffardo rivolto a me. Io fra di me la guado storto:  “Lo so che pensi a Montezuma, ma sei tu quella delicata non io, e la vendetta l’avrai un’altra volta”.
Giada prende un fazzoletto di carta e decide di modellare un fiore di loto, come gli hanno insegnato in un laboratorio creativo, è il suo modo di allentare la tensione. Io cerco di appassionarmi alla conversazione di Bobo e il Direttore, ma non capendo nulla, mi fermo subito con l’annuire con la testa, perché potrei star dicendo sì alle peggiori cose.

Arriva il direttore e una risma di documenti da firmare. Firmiamo affetti da strabismo verso la porta,  e con le orecchie drizzate al minimo accenno di passi nel corridoio.  E  tutto come sempre accade all’ improvviso. Una  didi spunta da dietro la porta di ingresso con Lucia in braccio,  anche se la foto dell’abbinamento risale a quasi un anno fa è lei, capelli più lunghi, banana in testa, vestita come se fosse franata nell’armadio, e anche stavolta due fantastici calzini spaiati.
E poi è come inciampare, tutti giù per terra, piomba la realtà, Lucia scoppia in un pianto acuto, disperato, il pianto della paura.  Io questo pianto non lo dimenticherò più.  Continuo a riprendere con la videocamera, e il mio cuore dice, calmati piccola calmati, vedrai passa, piccolo cuore non avere paura, adesso arriva la mamma. Giada si stringe a me, e sussurra “Papà…”, l’accarezzo e le dico “Giada la sorellina è spaventata, ne avevamo parlato, non ti preoccupare poi si calma”.
Cri prende in braccio Lucia, e comincia a coccolarla, la bimba trema e singhiozza, un piccolo pezzo di legno, rigida,  le braccia aperte nell’abbraccio della mamma, una piccola bambola, e come può essere diversamente in fondo.  Piano piano si quieta, i suoi occhi sono assenti, fissi, a volte distoglie lo sguardo puntando una fuga lontana.
Continuo a filmare, cerco di carpire più informazioni possibili: cosa mangia, come sta, le vaccinazioni che ha fatto. La didi è molto disponibile. Lucia non piange ora. Come solito tutto è molto rapido e spicciativo, parole e foto di rito con il direttore, saluti, altre foto. Io cerco di fare foto come una furia, sono carico come un facchino, ma tento di riprendere di tutto quello che posso dell’istituto, dentro e fuori:  stanze, scale, cortili; cerco di catturare tutte le immagini utili a raccontare alla piccola dove ha vissuto. Neanche questa volta ci è dato visitare le stanze dei bimbi, anzi a differenza della volta scorsa, questa volta non si sentono vagiti o pianti in sottofondo.
Ritorniamo in auto, accompagnati da  Bobo e dalla stessa didi che ha portato Lucia. Noi seduti nel sedile posteriore (sì i conti sono corretti siamo in 6 in auto). Cerchiamo un primo timido approccio. La bimba è calma, noi le parliamo ma soprattutto cerchiamo di consolarla con  piccole carezze e parole sussurrate.
Arriviamo alla casa del popolo, cerimonia del dare del ricevere. Ci fanno accomodare in un’altra stanza di ricevimento, siamo noi quattro, Bobo e un ufficiale civile. Improvvisamente entra di nuovo la didi, è venuta a tenere la piccola intanto che espletiamo la burocrazia di rito. La prende in braccio, la coccola, le sussurra qualcosa all’orecchio,  forse la sta salutando, quando Cri ritorna affrontiamo un nuovo pianto disperato.
Ricominciamo da capo.  Risaliamo in auto, la didi è ancora con noi, durante il viaggio  scambio qualche parola con lei, e riesco a farmi mandare alcune foto di Lucia in istituto nel periodo precedente il nostro arrivo, che la didi tiene sul cellulare.  Anche questo sarà un prezioso bagaglio per la piccola  e la ringrazio ripetutamente e infinitamente per questo.
Adesso ci dirigiamo verso l’albergo, stiamo tornando in appartamento.
Prima però Bobo porta ad una fermata del taxi la didi, lei scende, saluta, non si volta versoLucia, la piccola  sembra non accorgersene, sembra….perché non appena è scesa, si mette di scatto seduta e la segue con lo sguardo, non piange, ma la segue fino a quando riesce a scorgerla, poi guada noi, poi il  suo sguardo si perde, è indescrivibile.
Arriviamo finalmente all’ Army Hotel, ora siamo soli in camera. Lucia è guardinga, impaurita più che mai, Cri la coccola, Giada le ronza accanto come un’ape attorno ad un  fiore, cerca in tutti i modi di attirare la sua attenzione, ma la sua assenza è totale. Poi Giada ha un’idea, le bolle di sapone, e con queste si apre una piccola breccia, non arriviamo ai sorrisi, ma almeno si distrae, comincia a interagire, gioca con le bolle, che le scivolano addosso.
Io sono “invisibile”, se le parlo si gira dalla parte opposta, se l’accarezzo si irrigidisce,  esperienza già vissuta per cui niente delusione, ho tutto il tempo per rifarmi.
Lucia si ancora alla mamma, non piange,  i suoi piccoli occhi sono così malinconici e persi. Mi chiedo quanto coraggio ci deve essere in questo piccolo esserino,  siamo sconosciuti piombati nel suo mondo, parliamo una lingua ignota, abbiamo odori diversi, lineamenti diversi, tutta la sua sensibilità improvvisamente è stata terremotata, ha tutto il diritto di far sudare a caro prezzo la sua fiducia.
E continuo a guardare le mie due bimbe, il tentativo della grande di approcciare la piccola, e la piccola completamente distaccata; comprendo la situazione, ma il disagio di Giada lo sento ancora più forte, continua a chiedermi se con lei è stato così, io le dico di no (abbiamo visto tanti filmati del nostro incontro, tutto è stato molto semplice, quasi incredibile)  ma le dico che è molto più facile che all’incontro  i bambini reagiscano come Lucia, specie se sono più grandicelli, sempre che a 2 anni e qualche mese possano essere definiti grandi, perché non ci si conosce ancora,  le spiego che non bisogna essere tristi, occorre pazienza e a furia di baci,  sorrisi e coccole la sorellina starà sicuramente meglio e comincerà a sorridere e a farsi coccolare, adesso ha bisogno di conoscerci, come noi di conoscere lei (come se fosse facile spiegare la pazienza e la necessità del tempo ad una  scricciola di 7 anni che non vedeva l’ora di strapazzare la sorellina).
Dopo una cena veloce,  Lucia si è addormentata, ma a fatica, e vederla lottare per prendere sonno, assopendosi e riaprendo gli occhi improvvisamente, temendo chissà quale altro sorpresa scivolando nel sonno, è l’altra immagine inchiodata alla mia memoria.
E ora che sono le 23.30, guardo Giada e Lucia, sono così belle, sono le mie bimbe, e io sono felice e basta, e nonostante l’ intensità e le difficoltà dell’incontro, per quanto prevista e attesa, ringrazio di stare vivendo la seconda più bella esperienza della mia vita e mi dico che con i “se fosse stato” non si fa la storia,  ora servono solo piccoli passi decisi, perché sono quelli che fanno andare molto lontano.


E poi c’è  Cri, con cui affronto tutto questo, la sua pazienza, il suo modo dolce di fare, la sua ironia, e la voglia comunque di rimettersi in gioco, con la sua spericolata invidiata incoscienza; vedo quanto è difficile anche per lei, vedo che vorrebbe buttarsi a capofitto su Lucia, e allo stesso tempo teme di non essere presente per  Giada,  ho assistito sorridendo al sopravvento del suo istinto di madre, quando la didi è ritornata nella sala della cerimonia e la piccola è scoppiata nuovamente in un pianto dirotto, i suoi occhi in qualche modo dicevamo, ci penso io,  tu evapora. Grazie di essere parte della mia vita e di star costruendo tutto questo insieme a me.

lunedì 2 febbraio 2015

Lucia!

Siamo in alto! Molto in alto! Non scendiamo più!



Gigi, Cri, Giada Nghiem e Lucia Bich Nguyet

Vertigine

5 del mattino ad Hanoi. Potrei scrivere di mille pensieri centrifugati in questa notte quasi insonne.
Riassunto: il percorso fino ad oggi è stato difficile e ha lasciato macerie; da oggi nulla sarà come prima; all'inzio sarà dura e ci vorrà tempo;
Conclusioni: hai paura, una "fottutissima" paura e non serve a nulla, almeno oggi.
Allora bene, prendo tutto questo e ne faccio un bel falò, oggi faccio spazio alla gioia, voglio occhi limpidi per accogliere Lucia, oggi la mia famiglia cresce. Saremo in quattro, sarà un ricostruire? e allora avanti, costruiremo una reggia tutti insieme, e che i lavori abbiano inizio.
E citando i versi di "Mi fido di te" (Lorenzo Cherubini)

      "La vertigine non è
       Paura di cadere
       Ma voglia di volare"

Dico che oggi ho voglia di volare, e allora vengano pure le vertigini.
State con noi.
Gigi