Mentre in
questi giorni stiamo cercando di assestare la vita familiare, per quanto sia
difficile pensare di raggiungere un equilibrio in una stanza di albergo a
migliaia di km da casa, ecco il racconto del secondo incontro più importante
della nostra vita: il giorno di Lucia.
Ci alziamo
presto con in faccia una notte quasi
insonne, Giada ha riposato e anche se so che in altri casi farebbe sul serio,
in quanto ama molto dormire, al teatrino del sonno questa volta non crede
nessuno, è emozionata anche lei, fin troppo.
Facciamo un’abbondante
colazione, all’ Army Hotel (abbondante è
un complimento), e poi in fretta andiamo a comprare alcune ultime cose per
l’incontro con Lucia.
Comica
spesa!
Gigi: “Cri
ma questa non è la strada per il supermarket!!”
Cri: “A no? Dove stiamo andando?”
Gigi: ”Mi
devo essere confuso, e tu non dici niente?”
Cri: ”No io
seguo te”
Gigi: ”Non
ci sto con la testa”
Cri: ”Nemmeno
io ero soprappensiero”
Gigi: ”A beh
siamo pure carini, praticamente stavamo
vagando senza meta…”
Completamente
fuori strada ritorniamo indietro e imbocchiamo quella giusta.
Ma ad Hanoi
è Lunedì mattina, e come ogni altro giorno lavorativo sembra il
finimondo, come se tutte le motociclette si dessero appuntamento alle 6.00
della mattina e al tre decidessero di scatenare l’inferno.
Fatto sta
che le strade che impari a conoscere durante il week end passeggiando nella
zona centrale, il Lunedì non le riconosci più, perché sono “incrostate” di
motorini parcheggiati ovunque, che ostruiscono i marciapiedi, persino le
entrate dei negozi, e dove non ci sono i motorini ci sono banchetti di vendita
di ogni tipo, e dove non ci sono
banchetti, ci sono assembramenti di persone che mangiano e/o lavorano e/o non
lo sai neppure tu e tutto questo confonde.
Fatto sta
che non riconosciamo l’entrata del supermercato, essendo rientrante rispetto al
marciapiede.
Cri: “Luigi,
ma non siamo troppo avanti?”
Gigi: ”Ho
questa strana impressione anch’io, e mi sto preoccupando perché mi sembra di
essere ubriaco”
Ritorniamo
indietro, troviamo il supermercato, ogni tanto controllo di non aver smarrito
Giada, sia mai con sta tensione, e poi testa bassa verso l’Hotel, che alle 12.00
Bobo, il referente, ci aspetta.
Ci prepariamo
in silenzio, Giada “buffoneggia” ma è ben evidente quanto sia emozionata per
l’incontro.
Questa volta
siamo solo noi, non ci sono altre coppie, per cui in mancanza della medicina
“famose du chiacchiere” con i compagni di avventura, decidiamo di attendere
nella Hall dell’albergo facendoci una partita ad “UNO”, cioè facendoci
stracciare da quella fortunella e un po’ imbrogliona che è Giada.
Arriva Bobo,
liberiamo la bisca, carichiamo doni per bimbi, didi e autorità e partiamo.
La casa dei
bimbi di Lucia è all’estrema periferia di Hanoi (piccola ridente città di 6
milioni di abitanti) e essendo ora di punta, il leggero e scorrevole traffico
ci conduce alla meta in 45 minuti.
Il tragitto
è tranquillo, a parte il traffico le arterie principali sono tenute abbastanza
bene anche se si è in periferia, per cui
poco shaker questa volta, l’unico vero rimbombo è il cuore che pompa nelle
orecchie.
Bobo ci
segnala un cartello, dopo questo ad un chilometro siamo arrivati.
Stradina in
mezzo alla campagna, curva sulla destra, ecco l’istituto. Hanoi I. E’ umile ma
ordinato. Ci riceve una ragazza, ci conduce nella stanza di ricevimento, dove
ci fanno accomodare in attesa dell’arrivo del direttore. Ci servono un “Tè” di
benvenuto, io lo assaggio, tanto non sento sapori, e poi sarebbe scortese; stessa
cosa fa Cri, due sorsetti pudici e un ghigno beffardo rivolto a me. Io fra di me
la guado storto: “Lo so che pensi a
Montezuma, ma sei tu quella delicata non io, e la vendetta l’avrai un’altra
volta”.
Giada prende
un fazzoletto di carta e decide di modellare un fiore di loto, come gli hanno
insegnato in un laboratorio creativo, è il suo modo di allentare la tensione.
Io cerco di appassionarmi alla conversazione di Bobo e il Direttore, ma non
capendo nulla, mi fermo subito con l’annuire con la testa, perché potrei star
dicendo sì alle peggiori cose.
Arriva il
direttore e una risma di documenti da firmare. Firmiamo affetti da strabismo
verso la porta, e con le orecchie
drizzate al minimo accenno di passi nel corridoio. E tutto
come sempre accade all’ improvviso. Una didi spunta da dietro la porta di ingresso con
Lucia in braccio, anche se la foto dell’abbinamento
risale a quasi un anno fa è lei, capelli più lunghi, banana in testa, vestita
come se fosse franata nell’armadio, e anche stavolta due fantastici calzini
spaiati.
E poi è come
inciampare, tutti giù per terra, piomba la realtà, Lucia scoppia in un pianto
acuto, disperato, il pianto della paura. Io questo pianto non lo dimenticherò più. Continuo a riprendere con la videocamera, e
il mio cuore dice, calmati piccola calmati, vedrai passa, piccolo cuore non
avere paura, adesso arriva la mamma. Giada si stringe a me, e sussurra “Papà…”,
l’accarezzo e le dico “Giada la sorellina è spaventata, ne avevamo parlato, non
ti preoccupare poi si calma”.
Cri prende
in braccio Lucia, e comincia a coccolarla, la bimba trema e singhiozza, un
piccolo pezzo di legno, rigida, le
braccia aperte nell’abbraccio della mamma, una piccola bambola, e come può
essere diversamente in fondo. Piano
piano si quieta, i suoi occhi sono assenti, fissi, a volte distoglie lo sguardo
puntando una fuga lontana.
Continuo a
filmare, cerco di carpire più informazioni possibili: cosa mangia, come sta, le
vaccinazioni che ha fatto. La didi è molto disponibile. Lucia non piange ora.
Come solito tutto è molto rapido e spicciativo, parole e foto di rito con il
direttore, saluti, altre foto. Io cerco di fare foto come una furia, sono
carico come un facchino, ma tento di riprendere di tutto quello che posso dell’istituto,
dentro e fuori: stanze, scale, cortili;
cerco di catturare tutte le immagini utili a raccontare alla piccola dove ha
vissuto. Neanche questa volta ci è dato visitare le stanze dei bimbi, anzi a
differenza della volta scorsa, questa volta non si sentono vagiti o pianti in
sottofondo.
Ritorniamo
in auto, accompagnati da Bobo e dalla stessa
didi che ha portato Lucia. Noi seduti nel sedile posteriore (sì i conti sono
corretti siamo in 6 in auto). Cerchiamo un primo timido approccio. La bimba è
calma, noi le parliamo ma soprattutto cerchiamo di consolarla con piccole carezze e parole sussurrate.
Arriviamo
alla casa del popolo, cerimonia del dare del ricevere. Ci fanno accomodare in
un’altra stanza di ricevimento, siamo noi quattro, Bobo e un ufficiale civile.
Improvvisamente entra di nuovo la didi, è venuta a tenere la piccola intanto
che espletiamo la burocrazia di rito. La prende in braccio, la coccola, le
sussurra qualcosa all’orecchio, forse la
sta salutando, quando Cri ritorna affrontiamo un nuovo pianto disperato.
Ricominciamo
da capo. Risaliamo in auto, la didi è
ancora con noi, durante il viaggio scambio qualche parola con lei, e riesco a
farmi mandare alcune foto di Lucia in istituto nel periodo precedente il nostro
arrivo, che la didi tiene sul cellulare. Anche questo sarà un prezioso bagaglio per la
piccola e la ringrazio ripetutamente e infinitamente
per questo.
Adesso ci
dirigiamo verso l’albergo, stiamo tornando in appartamento.
Prima però
Bobo porta ad una fermata del taxi la didi, lei scende, saluta, non si volta
versoLucia, la piccola sembra non
accorgersene, sembra….perché non appena è scesa, si mette di scatto seduta e la
segue con lo sguardo, non piange, ma la segue fino a quando riesce a scorgerla,
poi guada noi, poi il suo sguardo si
perde, è indescrivibile.
Arriviamo
finalmente all’ Army Hotel, ora siamo soli in camera. Lucia è guardinga,
impaurita più che mai, Cri la coccola, Giada le ronza accanto come un’ape attorno
ad un fiore, cerca in tutti i modi di
attirare la sua attenzione, ma la sua assenza è totale. Poi Giada ha un’idea,
le bolle di sapone, e con queste si apre una piccola breccia, non arriviamo ai
sorrisi, ma almeno si distrae, comincia a interagire, gioca con le bolle, che
le scivolano addosso.
Io sono “invisibile”,
se le parlo si gira dalla parte opposta, se l’accarezzo si irrigidisce, esperienza già vissuta per cui niente delusione,
ho tutto il tempo per rifarmi.
Lucia si
ancora alla mamma, non piange, i suoi
piccoli occhi sono così malinconici e persi. Mi chiedo quanto coraggio ci deve
essere in questo piccolo esserino, siamo
sconosciuti piombati nel suo mondo, parliamo una lingua ignota, abbiamo odori
diversi, lineamenti diversi, tutta la sua sensibilità improvvisamente è stata
terremotata, ha tutto il diritto di far sudare a caro prezzo la sua fiducia.
E continuo a guardare le mie due bimbe, il tentativo della grande
di approcciare la piccola, e la piccola completamente distaccata; comprendo la
situazione, ma il disagio di Giada lo sento ancora più forte, continua a
chiedermi se con lei è stato così, io le dico di no (abbiamo visto tanti
filmati del nostro incontro, tutto è stato molto semplice, quasi
incredibile) ma le dico che è molto più
facile che all’incontro i bambini reagiscano
come Lucia, specie se sono più grandicelli, sempre che a 2 anni e qualche mese
possano essere definiti grandi, perché non ci si conosce ancora, le spiego che non bisogna essere tristi,
occorre pazienza e a furia di baci,
sorrisi e coccole la sorellina starà sicuramente meglio e comincerà a
sorridere e a farsi coccolare, adesso ha bisogno di conoscerci, come noi di
conoscere lei (come se fosse facile spiegare la pazienza e la necessità del
tempo ad una scricciola di 7 anni che
non vedeva l’ora di strapazzare la sorellina).
Dopo una cena veloce, Lucia si
è addormentata, ma a fatica, e vederla lottare per prendere sonno, assopendosi e riaprendo gli occhi improvvisamente, temendo chissà quale altro sorpresa scivolando nel sonno, è l’altra immagine inchiodata alla mia memoria.
E ora che sono le 23.30, guardo Giada e Lucia, sono
così belle, sono le mie bimbe, e io sono felice e basta, e nonostante l’
intensità e le difficoltà dell’incontro, per quanto prevista e attesa, ringrazio di stare vivendo la seconda più bella esperienza della mia vita e mi dico che con i “se fosse
stato” non si fa la storia, ora servono solo piccoli passi decisi, perché
sono quelli che fanno andare molto lontano.
E poi c’è Cri, con cui affronto tutto questo, la sua
pazienza, il suo modo dolce di fare, la sua ironia, e la voglia comunque di
rimettersi in gioco, con la sua spericolata invidiata incoscienza; vedo quanto
è difficile anche per lei, vedo che vorrebbe buttarsi a capofitto su Lucia, e
allo stesso tempo teme di non essere presente per Giada, ho
assistito sorridendo al sopravvento del suo istinto di madre, quando la didi è
ritornata nella sala della cerimonia e la piccola è scoppiata nuovamente in un
pianto dirotto, i suoi occhi in qualche modo dicevamo, ci penso io, tu evapora. Grazie di essere parte della mia
vita e di star costruendo tutto questo insieme a me.